
Man nennt mich Craco. Ich liege in der Basilicata. Dies ist meine Geshcichte. Ich bin wahrscheinlich im 8. Jahrhundert vor Christus entstanden, als einige Griechen Schutz in höheren Lagen weit ab vom Meer suchten. Damals war Malaria noch in weiten Teilen Italiens verbreitet. Überall dort, wo sumpfiges Gebiet war, herrschte die Malaria über die Menschen. Viele starben, andere wiederum suchten Schutz in höheren Lagen. So entstand ich. Im zehnten Jahrhundert vor Christus entwickelte ich mich zu einer byzantinischen Siedlung, als Mönche hinzukamen und Landwirtschaft betrieben. So entstand auch mein Name, den mir der Erzbischof Arnaldo von Tricarico gab. Craculum hieß ich zu dieser Zeit, was so viel wie „gepflücktes Feld“ (piccolo campo arato) bedeutet. Mein Aussehen gab mir Erberto in den Jahren 1154 und 1168. Erberto war ein normannischer Feudalherr, der meinen Ortskern mit einem quadratischen Turm erschuf, der später dann an Bedeutung gewann. Mein Turm diente als Schutzbarriere für die damals wohlhabenden Städte Lagaria und Pandosia, die auf der anderen Seite des Flusses Agri lagen. Später, als Friedrich II. von Schwaben regierte, wurde ich dann ein strategisches Militärzentrum. In dieser Zeit brachte man mir langobardische Gefangene. Ich fand das nicht so schön, muss ich sagen. Gott sei Dank wurde ich 1276 zum Sitz der Universitas. Man bestückte mich im 15. Jahrhundert mit vier schönen Palästen, dem Palazzo Maronna, dem Palazzo Grossi, dem Palazzo Carbone und dem Palazzo Simonetti. Darauf war ich stolz. Im siebzehnten und achtzehnten Jahrhundert wurde ich viele Male verkauft. Dann kam Napoleon ins Land. Wohlgemerkt nicht zu mir persönlich, dennoch wurde ich viele Male von Banditen, Banden und Banausen ausgeraubt. Eine Schande sowas. Ich erinnere mich noch an einige Namen wie Domenico „Rizzo“ Taccone, Nicola „Pagnotta“ Abalsamo, Gerardo „Scarola“ Vota, Carmine Crocco und Giuseppe Padovano. Letzteres war sogar sehr gebildet, denn er wohnte eine zeitlang in meinem Kloster und studierte. Als die Menschen dann die neue Errungenschaft von bohrender, stampfender und schnaufender Technik in den sechziger Jahren des zwanzigsten Jahrhunderts in großem Maße ausprobierten, merkte ich, dass es mit mir zu Ende ging. Leider war ich anscheinenend das einzige Wesen, das mein Ende bemerkte. So legten sie eine Kanalisation, eine Straße und ein Wasserrohr nach dem anderen. Ein Lärm war das. Das kann sich gar keiner vorstellen, was ich mir zu dieser Zeit anhören durfte. Dann geschah das, was geschehen musste. Ich konnte mich auf dieser wackelnden Erde nicht mehr halten und versank in Teilen mit einem Erdrutsch. Das Erdbeben im Jahr 1972 gab mir den Rest. Ich wurde verlassen wie man eben etwas altes, nicht brauchbares verlässt. Nicht die feine englische Art, wie sie zu sagen pflegen. Erst mich rütteln und schütteln und dann, wenn ich schwach geworden bin, mich verlassen. Aber ich will mich nicht beschweren, denn es ab diesen Zeitpunkt herrschte endlich Ruhe. Ich muss jedoch gestehen, dass es mir zu ruhig geworden war. Gott sei Dank kommen seit etlichen Jahren immer mal wieder Besucher zu mir, um mich zu bestaunen. Ich habe zwar meine schönen Palazzi nicht mehr, aber scheinbar haben die Menschen mich doch nicht ganz vergessen. Und das macht mich glücklich.
Io sono Craco. Questa è la mia storia
Mi chiamano Craco. Mi trovo in Basilicata. Questa è la mia storia. Sono nato probabilmente nell’VIII secolo a.C., quando alcuni Greci cercarono riparo ad altitudini più elevate lontano dal mare. A quel tempo, la malaria era ancora diffusa in gran parte dell’Italia. Ovunque ci fosse una zona paludosa, la malaria dominava sulle persone. Molti morirono, mentre altri cercarono riparo ad altitudini più elevate. È così che sono nato. Nel X secolo a.C. mi sono trasformato in un insediamento bizantino quando sono arrivati i monaci e hanno iniziato a praticare l’agricoltura. Questa è anche l’origine del mio nome, che mi fu dato dall’arcivescovo Arnaldo di Tricarico. All’epoca mi chiamavo Craculum, che significa “piccolo campo arato”. Nel 1154 e nel 1168 Erberto mi diede il suo aspetto: era un feudatario normanno che costruì il mio centro abitato con una torre quadrata, che in seguito acquistò importanza. La mia torre fungeva da barriera protettiva per le allora prospere città di Lagaria e Pandosia, che si trovavano sull’altra sponda del fiume Agri. In seguito, quando regnava Federico II di Svevia, divenni un centro militare strategico. In quel periodo mi furono portati dei prigionieri longobardi. Non mi piaceva molto, devo dire. Grazie a Dio sono diventato sede dell’Universitas nel 1276. Nel XV secolo fui dotato di quattro bei palazzi, Palazzo Maronna, Palazzo Grossi, Palazzo Carbone e Palazzo Simonetti. Ne ero orgoglioso. Nel Seicento e nel Settecento fui venduto più volte. Poi Napoleone arrivò nel Paese. Non a me personalmente, sia chiaro, ma fui derubato molte volte da banditi, bande e filistei. Era una vergogna. Ricordo ancora alcuni nomi come Domenico “Rizzo” Taccone, Nicola “Pagnotta” Abalsamo, Gerardo “Scarola” Vota, Carmine Crocco e Giuseppe Padovano. Quest’ultimo era addirittura molto istruito, in quanto visse per un certo periodo nel mio monastero e studiò. Quando poi, negli anni Sessanta del Novecento, si sperimentò su larga scala la nuova tecnologia della perforazione, del martellamento e dello sbuffo, mi resi conto che per me le cose stavano per finire. Purtroppo, a quanto pare, ero l’unico essere ad accorgersi della mia fine. Così posero una rete fognaria, una strada e un tubo dell’acqua dopo l’altro. Che rumore che c’era. Nessuno può immaginare cosa dovetti ascoltare in quel momento. Poi è successo quello che doveva succedere. Non potevo più aggrapparmi a questa terra che tremava e sono sprofondato in alcune parti con una frana. Il terremoto del 1972 è stata l’ultima goccia. Mi hanno lasciato come si lascia una cosa vecchia e inutile. Non alla maniera inglese, come si dice. Prima mi scuotono e mi agitano e poi, quando sono debole, mi abbandonano. Ma non voglio lamentarmi, perché da quel momento in poi c’è stata finalmente pace e tranquillità. Tuttavia, devo ammettere che era diventata troppo tranquilla per me. Grazie al cielo, da qualche anno a questa parte, i visitatori vengono di tanto in tanto a meravigliarsi di me. Forse non ho più i miei bei palazzi, ma sembra che la gente non mi abbia dimenticato del tutto. E questo mi rende felice.